Bologna trasgressiva: storia della prostituzione tra Medioevo e Novecento
La dura vita delle prostitute nella Bologna medievale
Nel corso del Medioevo, la prostituzione a Bologna fu oggetto di un complesso processo di regolamentazione. Considerata un “male necessario” per evitare "peccati peggiori", fu tuttavia fortemente controllata dalle autorità civiche. A partire dal 1259, il Comune di Bologna introdusse norme severe per confinare l’attività in quartieri specifici, come il cosiddetto "Castelletto delle meretrici", e impedire alle donne di esercitare al di fuori di tali aree.
Chi veniva sorpresa a prostituirsi in altri punti della città poteva subire pene corporali gravissime: il taglio del naso divenne il simbolo esemplare della punizione. Analogamente, i ruffiani potevano essere puniti con la perdita di un occhio, in base a regolamenti comunali tesi a colpire anche il favoreggiamento del meretricio.
Il legame con l’economia e l’igiene urbana
Questo sistema repressivo si accompagnava a contraddizioni evidenti: da un lato la prostituzione era stigmatizzata, dall’altro rappresentava una voce economica importante per la città. I proventi derivanti dall’affitto dei locali destinati ai bordelli erano comparabili a quelli generati dalle locazioni per studenti universitari. A seguito del Liber Paradisus del 1257, che sancì la liberazione di migliaia di servi della gleba, il Comune cercò di riformare anche gli aspetti igienico-sanitari della città, e tra questi figurava il controllo delle case di tolleranza.
Una vita di restrizioni e umiliazioni
Per distinguere le meretrici dal resto della popolazione femminile, venne imposto un abbigliamento identificativo: un mantello aperto sul davanti, un lenzuolo giallo e, in seguito, un sonaglio da indossare. La stigmatizzazione pubblica era evidente, e anche la libertà di movimento era limitata: le prostitute potevano circolare solo il sabato, e solo se riconoscibili. La popolazione stessa spesso impediva loro fisicamente di accedere ad alcune aree cittadine, rendendo inefficaci persino le deroghe concesse dal Comune.
Nel 1521 il sonaglio fu sostituito da un nastro giallo, ma il colore continuava a rappresentare un segno di vergogna.
Dalla Corte dei Bulgari alla Galleria Cavour: la geografia del vizio
Molti quartieri oggi eleganti, come Galleria Cavour, erano un tempo associati alla prostituzione. Tra il Trecento e il Cinquecento, la zona compresa tra piazza Galvani, via Farini e piazza Minghetti era considerata un centro di postriboli, osterie e bische. Il bordello pubblico ufficiale fu collocato nel 1419 presso l’osteria della Scimmia, per poi essere spostato più volte.
Nel Seicento, questa funzione fu assegnata all’area del Frassinago, via Santa Croce, via del Pratello e la Braina di San Donato, sufficientemente lontane dai luoghi sacri. Il papato intervenne più volte per allontanare i bordelli da chiese e conventi, come dimostrano i decreti di Eugenio IV (1438), Giulio II (1516) e Leone X.
L'Ottocento: controllo medico e repressione moralista
Con l’annessione dell’Emilia al Regno d’Italia, la prostituzione fu sottoposta a un controllo sistematico. Il professor Pietro Gamberini, direttore della clinica dermosifilitica del Sant’Orsola, avviò un censimento sanitario delle prostitute dal 1862 al 1888, registrando dati su età, condizione sociale e attività pregresse. Nel 1861 si contavano 429 donne registrate, ma il numero reale era molto più alto per via della clandestinità.
Le prostitute erano sottoposte a visite mediche obbligatorie, restrizioni di movimento, e divieti di frequentazione di teatri e luoghi pubblici. Il 25% del guadagno andava alle donne, il restante ai tenutari. Il controllo si estendeva anche alla pubblicazione di annunci velati nei giornali, poi proibiti nel 1917 per evitare l’uso improprio della stampa.
Il Novecento e la fine delle case chiuse
Nel primo Novecento, i bordelli erano ancora attivi ma sempre più contestati. Locali come il cinema Roatta e il Bar Centrale divennero centri di meretricio mascherato. La Legge Merlin del 1958 decretò la fine ufficiale delle case di tolleranza, chiudendo un capitolo secolare della storia cittadina.
Una singolare eredità industriale
Curiosamente, Bologna fu anche protagonista nel settore della contraccezione. Nel 1922, Franco Goldoni fondò la fabbrica Ha-Tu, che produsse i primi preservativi in Italia con l’appoggio del regime fascista, che ne promosse l’uso tra i militari.
Conclusioni
La storia della prostituzione a Bologna attraversa secoli di contraddizioni, tra repressione morale e tolleranza economica. Le autorità comunali, ecclesiastiche e statali hanno oscillato tra regolamentazione e proibizione, senza mai riuscire a estirpare un fenomeno legato alle strutture stesse della società urbana. Ancora oggi, i luoghi della trasgressione di ieri coincidono con quelli della mondanità di oggi, a dimostrazione di come la memoria storica della città sia stratificata e sorprendente.