Nella storia di Bologna, alcuni uomini di Chiesa si sono distinti non per la loro devozione spirituale, ma per la loro spregiudicatezza politica e, in alcuni casi, per la brutalità in battaglia. Spesso, l’ambizione e la sete di potere li hanno portati a compiere atti sanguinari, mettendo in ombra il loro ruolo di guide religiose. Tra questi, uno dei più noti è il cardinale Roberto da Ginevra, passato alla storia con il soprannome di "Boia di Cesena", noto anche come "Cardinale del Diavolo".

Nel 1375, Roberto da Ginevra era legato pontificio al servizio di papa Gregorio XI, l’ultimo pontefice a risiedere ad Avignone. Per riconquistare l’autorità del papato e preparare il ritorno della Santa Sede a Roma, Gregorio XI intraprese una guerra contro i comuni ribelli dello Stato Pontificio. Questo conflitto è noto come Guerra degli Otto Santi, poiché il governo fiorentino – principale oppositore del papa – aveva affidato la gestione della resistenza a otto magistrati, elevati simbolicamente alla dignità di santi per la loro battaglia contro l’oppressione pontificia.

Bologna si unì alla coalizione anti-papale nel 1376, schierandosi a fianco di Firenze in difesa della propria indipendenza. In risposta, Gregorio XI affidò il comando delle sue truppe a Roberto da Ginevra, che si avvalse dell’esercito mercenario guidato dal celebre condottiero inglese John Hawkwood, conosciuto in Italia come Giovanni Acuto. Questi mercenari, per lo più bretoni, erano noti per la loro statura imponente, i capelli biondi e la spietatezza sul campo di battaglia.

Il massacro di Cesena e la furia di Roberto da Ginevra

Per punire la ribellione dei comuni, il cardinale da Ginevra guidò le truppe papali in una brutale campagna di repressione. Dopo un massacro di civili a Forlì, nel 1377 si accanì contro Cesena, dove si stima che furono sterminate più di quattromila persone. Le cronache raccontano scene di orrore: soldati che afferravano neonati per i piedi e li sbattevano contro le mura, donne massacrate davanti ai loro figli. Il frate e cronista Bartolomeo Borselli descrisse la strage con parole che testimoniano la ferocia dell’evento:

"Fu uno spettacolo orribile vedere i corpi senza vita di madri e figli abbracciati, e le strade colme di cadaveri nudi di donne, le cui parti intime erano state brutalmente esposte. Questo massacro scosse profondamente la fede della popolazione, che non voleva più credere nei cardinali e nel papa."

Arrivato alle porte di Bologna, il Cardinale del Diavolo volle lanciare un ulteriore avvertimento: fece giustiziare trecento bolognesi presso la Croce di Casalecchio, ordinando che i loro corpi fossero smembrati "come fossero bestie". La sua reputazione di uomo senza scrupoli si diffuse rapidamente, trasformandolo in un simbolo di terrore. Nei territori devastati dalle sue truppe, le violenze erano inaudite: secondo le cronache, a Monzuno molte donne furono violentate, e persino le bambine di dodici anni non furono risparmiate. Dopo ogni massacro, il cardinale benediceva le spade insanguinate dei suoi soldati, concedendo loro l’assoluzione.

Nel 1378, con la morte di Gregorio XI, la guerra degli Otto Santi si concluse senza vincitori. Giovanni Acuto, il condottiero mercenario, cambiò schieramento e passò dalla parte dei fiorentini. Roberto da Ginevra, invece, con una svolta quasi ironica del destino, venne eletto antipapa col nome di Clemente VII, dando avvio allo Scisma d’Occidente.

La Rocca di Porta Galliera: Simbolo dell'Oppressione Papale

L’epoca in cui la Chiesa esercitava il proprio potere temporale su Bologna è segnata anche dalla costruzione di una grande fortezza, la Rocca di Porta Galliera, oggi ridotta a un rudere nei pressi dell’autostazione, accanto al parco della Montagnola.

L’origine della rocca risale al 1330, quando la città, per difendersi da un possibile attacco dell’imperatore Ludovico il Bavaro, accettò l’aiuto dell’esercito pontificio. Il progetto fu affidato al cardinale Bertrando del Poggetto, il quale diffuse l’idea che il papa volesse trasferire la sua residenza da Avignone a Bologna. Con questo pretesto, fece erigere un’imponente fortezza dotata di mura merlate, torrioni e fossati, che serviva più a tenere sotto controllo la popolazione che a difenderla.

Nel 1334, la città si ribellò sotto la guida di Brandoligi Gozzadini. La rocca venne assediata e demolita mattone per mattone, inclusa la cappella che ospitava un prezioso affresco di Giotto, andato perduto per sempre.

Nel 1400, un altro cardinale legato alla Santa Sede si distinse per il suo dominio feroce su Bologna: Baldassarre Cossa, descritto dallo storico Indro Montanelli come un uomo privo di scrupoli, abile stratega militare e instancabile seduttore. Secondo il suo segretario, sedusse oltre duecento donne, tra cui spose, vedove e suore.

Cossa ricostruì la rocca, ma la popolazione si ribellò ancora una volta e la distrusse mentre lui si trovava a Roma per farsi eleggere antipapa. Deposto nel Concilio di Costanza, non riuscì mai a riprendere il controllo di Bologna.

L’Ultima Fortezza e il Papa Guerriero

Nel 1507, Giulio II, soprannominato "il Papa guerriero", ricostruì per la quinta e ultima volta la Rocca di Galliera dopo aver espulso i Bentivoglio dalla città. Lo storico Giuseppe Guidicini la descrive come "la più grande e possente mai edificata, con mura spesse dodici braccia e otto possenti torrioni".

Giulio II, uomo d'azione più che di fede, commissionò a Michelangelo Buonarroti una statua colossale in bronzo da collocare sulla facciata di San Petronio. L’opera raffigurava il papa in posa trionfante, con una spada nella mano sinistra. Alla domanda di Michelangelo se preferisse un libro, Giulio II rispose con disprezzo:

"Un libro? Mi credi forse uno scolaro? Voglio una spada!"

Quando i Bentivoglio rientrarono in città nel 1511, la statua fu abbattuta e i suoi resti inviati al duca Alfonso d’Este, che li fuse per costruire un cannone battezzato "Giulia", usato poi contro l’esercito pontificio.

Della fortezza di Giulio II oggi rimane solo un frammento di muro, vicino alla scalinata della Montagnola. Alcuni storici ipotizzano che sotto la collina del parco siano ancora sepolti i resti accumulati dalle ripetute demolizioni della rocca nel corso dei secoli.