Ludovico de Varthema, il Marco Polo Bolognese
Nella zona pedecollinare dell’elegante quartiere Murri di Bologna, vicino a via Siepelunga, si trova una strada dedicata a Ludovico de Varthema, viaggiatore ed esploratore bolognese vissuto tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento. Nonostante l’apparenza germanica del cognome, Varthema (latinizzato in Vertomannus) era bolognese di nascita, probabilmente figlio di un medico originario dell'Europa settentrionale. Sebbene non si conoscano con certezza le date esatte della sua nascita e della sua morte, si ritiene siano collocabili tra il 1470 e il 1517, proprio nel periodo d'oro delle grandi esplorazioni geografiche europee.
Sconosciuto ai più nella storiografia cittadina, Varthema fu per Bologna ciò che Marco Polo fu per Venezia. Intorno al 1500 intraprese un viaggio verso l’Estremo Oriente che durò ben sette anni, guadagnandosi il primato di primo occidentale documentato ad aver visitato la Mecca e Medina, le città più sacre dell'Islam. Questo primato resistette fino alla fine del XVII secolo.
Su sollecitazione di Papa Giulio II, al cui servizio operava il cardinale Raffaele Riario – colui che per primo testimoniò ufficialmente la sua origine bolognese –, Varthema compose un dettagliato resoconto delle sue avventure, pubblicato per la prima volta a Roma nel 1510 con il titolo di Itinerario nello Egypto nella Surria [Siria] nella Arabia deserta & felice nella Persia nella India & nella Ethiopia. Questo racconto, dedicato ad Agnese di Montefeltro, figlia del celebre Federico da Montefeltro, divenne un best-seller del tempo, tradotto rapidamente in oltre 50 lingue.
Il viaggio iniziò nel 1500 con una traversata verso l’Egitto e poi verso la Siria, dove Varthema si unì ai Mamelucchi, una potente élite militare che dominava l'Egitto e gran parte del Medio Oriente. Fingendosi convertito all’Islam, riuscì a infiltrarsi nel pellegrinaggio sacro verso la Mecca e Medina. Le sue dettagliate osservazioni dei riti islamici furono una fonte preziosissima per l’Europa rinascimentale.
All'inizio del 1504, Varthema raggiunse il porto di Diu, nel Gujarat (India), punto chiave per il commercio e successivamente roccaforte portoghese. Da lì, navigò verso il Golfo Persico, visitando importanti centri commerciali come Julfar, Mascate e Hormuz. Attraversò la Persia, visitando Herat e Shiraz, e tentò, senza successo, di raggiungere Samarcanda, ritornando poi in India.
In India esplorò la costa occidentale toccando Cambay, Goa e Calicut, descrivendo minuziosamente il commercio delle spezie, i costumi locali e le complesse strutture sociali e politiche del Malabar. I suoi scritti sulla società indiana sono ritenuti tra i più accurati e dettagliati della sua epoca.
Continuando verso est, dopo aver circumnavigato Capo Comorin (estremità meridionale dell'India) raggiunse Ceylon (Sri Lanka), da lì navigò verso la penisola Malese, giungendo nel Bengala e in Birmania (Myanmar). Assieme a due cristiani cinesi e al suo compagno persiano, visitò la penisola di Malacca e proseguì verso Sumatra e le Molucche, isole mai raggiunte prima da un occidentale.
Successivamente, Varthema esplorò il Borneo e Giava, dove riportò per la prima volta l'utilizzo della bussola e delle carte nautiche da parte dei naviganti locali. Curiosamente, menzionò la possibile esistenza di terre sconosciute molto a sud, riferimento probabilmente alle coste settentrionali dell’Australia, anticipando di quasi due secoli le scoperte europee ufficiali.
Desideroso di tornare in Europa, Varthema raggiunse la guarnigione portoghese di Cannanore, partecipando attivamente ad alcune battaglie sotto il comando del viceré Francisco de Almeida, che lo nominò cavaliere, raccomandato anche dal navigatore Tristão da Cunha. Varthema lasciò l'India nel dicembre 1507, navigando attorno al Capo di Buona Speranza, attraversando tempestose acque atlantiche e toccando le coste africane a Malindi e Mombasa, fino a giungere a Lisbona nel 1508.
A Lisbona fu accolto con onore dal re del Portogallo, Manuel I, e infine ritornò in Italia. A Roma, il suo prestigio era ormai tale da ottenere il titolo di patrizio romano, conferitogli direttamente dal Papa Giulio II.
L’opera di Varthema ebbe un'importanza cruciale per la cartografia europea e per la comprensione delle culture extraeuropee del tempo. Ancora oggi, la sua testimonianza rappresenta una delle più preziose fonti storiche sulle civiltà orientali nel periodo rinascimentale.